
La sede della fondazione letteraria “Doroteo Brambilla” cosisteva in un ampio stanzone quadrato -un tempo magazzino per macchinari agricoli- della bella villa in campagna ereditata dalla vedova Isadora Brambilla Paletti. Non era un ambiente elegante come gli altri della villa, ma era spazioso e silenzioso, inoltre era il luogo ideale per la lettura grazie a tre finestre quadrate poste vicino al soffitto. L’arredamento principale, oltre alle vecchie poltrone di pelle, era costituito da altissimi scaffali traboccanti di libri. Non erano tomi rilegati in pelle o austere edizioni antiche come ci si sarebbe potuto aspettare, ma tascabili delle edizioni più economiche, la maggior parte con le pagine ingiallite e ormai dominio incontrastato dei pesciolini d’argento.
Un tempo la biblioteca era il regno privato del dottor Brambilla, il ricco e stimatissimo farmacista del paese, il suo luogo segreto dove lui indulgeva nel suo unico inconfessabile vizio: la letteratura di fantascienza.
il suo amore sconfinato per quei libretti che lo trasportavano in mondi lontani e gli permettevano di vivere avventure straordinarie.
Sui ripiani più accessibili erano allineate le file dei suoi amati “Urania”, per la maggior parte i numeri dal dorso bianco ormai ingiallito con una sottile banda rossa, disposti ordinatamente uno accanto all’altro in modo che quel tratto colorato diventasse un unico graffio scarlatto lungo tutto lo scaffale. Teo, come lo chiamava la moglie Isadora, aveva conservato e catalogato con scrupolo ogni numero sin da quando -all’età di dodici anni – era sbocciato il suo amore sconfinato per quei libretti che lo trasportavano in mondi lontani e gli permettevano di vivere avventure straordinarie.
Dopo una vita per nulla straordinaria il dottor Brambilla aveva lasciato alla giovane moglie quasi tutto il suo cospicuo patrimonio. L’unico altro lascito era servito a finanziare una fondazione creata poco prima della sua morte. Lo scopo era l’istituzione di un premio letterario per lanciare i nuovi talenti italiani della fantascienza. Il ragguardevole finanziamento sarebbe servito a coprire tutte le spese della fondazione e per la conservazione della collezione di Teo.
La moglie oviamente disapprovò ogni riga di quella clausola del testamento: odiava tutti quei libretti con le copertine spiegazzate dal gusto grossolano. Tra sé e sé li chiamava “quei dannati libercoli” avendo sempre disprezzato l’indulgere del marito in quelle letture così poco di moda nei salotti culturali che frequentava. Nonostante questo, facendo buon viso a cattivo gioco, assecondò il desiderio del marito e divenne la madrina del “Premio Letterario FantaTeo – Nuovi talenti della Fantascienza”.
Nell’appannaggio concesso alla fondazione era previsto il compenso per una giuria che ormai da anni consisteva negli stessi tre membri ai quali andavano ad aggiungersi altri cinque, diversi per ogni edizione. Se a questi ultimi toccava unicamente l’onore, il prestigio, la visibilità e un magro rimborso spese, la parte più cospicua del compenso arrivava nelle tasche dei tre membri stabili.
Il presidente della giuria era Amedeo, professore in pensione e appassionato di scrittori mitteleuropei. Leggeva solo quelli, a patto che pubblicassero libri tristissimi e con copertine in bianco e nero, ma mai di fantascienza, un genere che segretamente lui odiava. Disprezzo che aveva confessato solo a Isadora con cui condivideva anche certe passioni notturne per frustini di cuoio e bustini strettamente allacciati.
Al professore si affiancava Renato, fotografo di matrimoni e intellettuale di riferimento del paese. A suo tempo Renato era stato l’autore di un romanzo horror che parlava di un autobus urbano posseduto dal demonio. Col titolo “Capolinea: Inferno” il libro aveva avuto un certo successo e persino un tentativo di trasposizione televisiva, sfumato a causa degli effetti pirotecnici troppo realistici che avevano distrutto il set, l’autobus e fatto fuggire la protagonista con i capelli in fiamme. Amava soprattutto leggere sé stesso e certi romanzi francesi corredati da stampe erotiche, una passione che condivideva con Isadora durante i loro incontri pomeridiani tra le lenzuola di lino nella lussosa camera da letto al secondo piano della villa.
L’ultimo membro della giuria era lo scaltro Fumagalli.
Da anni Fumagalli considerava il premio letterario “FantaTeo” la sua piccola miniera d’oro. Non solo aveva diritto al compenso annuale ma, essendo il proprietario della Trireme di Ulisse – una piccola e agguerrita casa editrice – ogni anno curava un’edizione di lusso nella quale pubblicava i racconti degli autori premiati col FantaTeo, il disco volante d’argento. Anche Fumagalli non leggeva molto: quasi esclusivamente i manoscritti che arrivavano alla Trireme di Ulisse, perlopiù di velleitari scrittori amici di Isadora, disposti a pagare profumatamente le prime mille copie dei loro indigeribili romanzi. Fumagalli condivideva con Isadora, oltre che i soldi estorti agli aspiranti scrittori, anche la passione per i weekend in montagna nella baita di lei, dotata di sauna e idromassaggio.
Quella sera la puzza di carta invecchiata male nella biblioteca della fondazione sembrava più opprimente del solito. Tutti i presenti erano in preda a brutti presentimenti.
Quella sera la puzza di carta invecchiata male nella biblioteca della fondazione sembrava più opprimente del solito. Tutti i presenti erano in preda a brutti presentimenti. Già l’anno precedente c’erano stati pochi partecipanti al concorso: la giuria aveva dovuto fare salti mortali per trovare qualcosa da premiare con il sempre meno ambito disco volante d’argento e la nuova edizione del concorso non sembrava avere prospettive migliori.
Alla prima riunione c’erano solo i tre membri stabili della giuria, com’era tradizione ormai da anni. Tra loro si poteva parlare chiaro, senza indulgere in quelle inutili disquisizioni sulla critica letteraria che tanto piacevano ai componenti temporanei.
Il primo a parlare fu uno sconsolato Amedeo:
«Anche la giuria del concorso letterario Magico Padano ha rinunciato: quest’anno non ci sarà la consueta premiazione. Pochi autori e il materiale pervenuto era nella maggior parte di scarsa qualità. Qualcuno ha persino provato a imbrogliare: l’unico racconto decente era scritto da un’Intelligenza Artificiale.»
«È successo anche alla “Bacchetta D’oro di Lonate” e a “Games of Trovo”, dappertutto robaccia ispirata a qualche serie tv o testi generati in pochi minuti da quelle mostruosità online. Per carità, la scrittura era anche dignitosa. ma spesso sconclusionata e a volte inquietante. Nonostante questo tutti ormai sono assillati da queste intelligenze artificiali: è l’ultima di moda» osservò sconsolato Renato.
Fumagalli continuò a sgranocchiare pensoso i deliziosi biscottini di Isadora che avevano accompagnato l’usuale rinfresco. D’un tratto il viso gli si illuminò:
«E se quest’anno facessimo qualcosa di diverso? E se organizzassimo un’edizione speciale? Immaginate: un premio dedicato alle Intelligenze Artificiali… Cosa ne dite? Ormai tutti si sentono in grado di scrivere qualcosa con l’aiuto di quelle diavolerie. Perché non ci rivolgiamo a questo tipo di partecipanti? Perché non cambiamo il regolamento? Sarà un concorso dedicato ai testi generati dalle AI. Vincerà chi riuscirà a far scrivere il racconto migliore alla sua AI preferita. Ci vuole talento anche per quello, bisogna saper dare i comandi giusti. In fondo è da anni che certi ottimi editor fanno la stessa cosa con i loro autori umani.»
«Non so, mi sembra un’idea folle. Che vantaggi ci sarebbero?» ribatté scettico Amedeo.
Ogni scrittorucolo d’italia vorrà dimostrare di essere migliore di un software intelligente.
«Prima di tutto la novità. Un concorso letterario del genere susciterebbe scandalo. Ne parlerebbero tutti i media. Come ha detto Renato oggi le AI sono di moda. Quando si diffonderà la notizia la partecipazione sarà massiccia. Chiunque in grado di digitare due scemenze nella chat di una AI potrà partecipare. Verrebbero attirati come mosche anche quelli intenzionati a ingannare la giuria. Manderanno i loro scritti fingendosi una AI solo per creare scalpore. Ogni scrittorucolo d’italia vorrà dimostrare di essere migliore di un software intelligente.»
Convennero tutti che l’idea fosse interessante, ma fu Isadora a prendere la decisione finale. Lei amava il clamore e non si sarebbe lasciata sfuggire la possibilità di diventare la protagonista di un evento controverso come quello. Immaginò sé stessa intervistata nelle pagine culturali dei grandi giornali mentre parlava di un gesto artistico innovativo, un esperimento di rottura con la tradizione. Già si vedeva in foto sull’editoriale polemico di qualche rivista letteraria blasonata dove si parlava della morte della letteratura.
Come c’era da aspettarsi lo scalpore nel mondo letterario fu grande e la notizia venne riportata persino da alcuni giornali stranieri. Dappertutto si parlò di quel bizzarro concorso riservato a entità artificiali che scrivevano racconti al posto di autori umani.
Frattanto, grazie alla pubblicità, alla casella postale della fondazione arrivarono centinaia di lavori, qualcuno persino di buona qualità. Il lavoro di lettura e scelta si sarebbe prolungato a dismisura se a Fumagalli non fosse venutal’idea di utilizzare un software in grado di selezionare i lavori più originali e privi di errori formali per una prima scrematura.
Per la premiazione si dovette mobilitare tutto il paese. La piazza fu liberata, venne innalzato il palco e le case furono adornate da grandi striscioni con la scritta “FantaTeo – IA Edition”. Arrivarono troupe televisive da tutto il mondo per filmare la giuria mentre apriva le buste con i titoli dei racconti vincenti delle AI più brillanti e creative.
Fu una bella serata: iniziò con un bel discorso d’apertura da parte di Amedeo (ovviamente scritto a quattro mani con una AI) che parlò delle infinite possibilità offerte dalla tecnologia e della responsabilità necessaria per il suo utilizzo, poi fu il momento di un artista digitale che proiettò sul muro della chiesa le sue inquietanti creazioni frutto del suo lavoro con una AI grafica sperimentale.
Alla fine, dopo un intermezzo con brani musicali generati da una AI in grado di scrivere musica da camera tutto sommato discreta, furono chiamati sul palco i vincitori: i migliori tra coloro che erano riusciti a spremere tanta umanità dalle loro AI.
I finalisti erano tre: un programmatore per software di gestione aziendale, un creatore di database e una casalinga col pallino dei computer. Come c’era da aspettarsi nessuno di loro era uno scrittore (condizione imposta dal Fumagalli sapendo quanto potessero essere pedanti e presuntuosi gli appartenenti a quella categoria).
Prima della consegna del premio il presidente aprì una parentesi polemica. Con voce accorata denunciò ai media la squalifica di un racconto che era risultato di chiara fattura umana. Nonostante la sua qualità – a una prima lettura era risultato il migliore – il nuovo regolamento escludeva quel tipo di partecipazione. Il pubblico presente applaudì l’onestà intellettuale della giuria, l’arguzia dei suoi componenti e l’ottima scelta della AI che era stata utilizzata per scovare plagi, frodi e gli autori troppo umani.
Ci fu un colpo di scena quando il programmatore che aveva presentato il racconto vincente svelò il suo segreto: persino il sunto che aveva usato era stato creato da una AI con un processo casuale. Da quello scarno spunto, con iterazioni successive, era riuscito a ottenere il risultato finale: il racconto pieno di fantasia e pathos che aveva sbaragliato tutti gli altri.
Dopo la lettura del racconto arrivò il primo applauso, lungo e scrosciante. Il vincitore s’inchinò e ringraziò dal palco chiedendo un riconoscimento anche per la sua AI. La madrina del premio non riuscì a trattenere la sua sconfinata ammirazione per quel genio occhialuto che sapeva domare la potenza delle AI e lo abbracciò sul palco.
Si parlò del concorso per mesi -nel bene e nel male- ma tutti gli esperti convennero che da quel giorno era iniziata una nuova era.
Fu una bella serata e i notiziari lodarono quell’ambiziosa iniziativa che segnava un momento storico e indicava nuove strade da seguire per l’asfittico mondo dell’editoria. Si parlò del concorso per mesi -nel bene e nel male- ma tutti gli esperti convennero che da quel giorno era iniziata una nuova era.
Qualche settimana dopo però arrivò la doccia fredda: quell’anno la banca non avrebbe corrisposto ai tre componenti della giuria l’agognato assegno.
Un nervoso impiegato della banca spiegò loro che il vecchio direttore della banca era stato sostituito da una AI a causa del ridimensionamento del personale. La nuova arcigna direttrice virtuale aveva esaminato con più cura il documento con il quale la buonanima di Deodato Brambilla aveva concesso il finanziamento al concorso letterario.
A quanto pare l’idea era venuta a Teo durante una bisboccia con il vecchio direttore della banca, anche lui grande collezionista di Urania. Nella donazione c’era una clausola che avevano messo così per ridere:
“… l’assegno verrà erogato annualmente alla conclusione del premio, tranne nel caso gli esseri umani vengano soggiogati da robot o sostituiti da entità artificiali.”
Scritto molto bene e molto carino.
Bella satira, come racconto è davvero carino
Ma come entità non umana mi sento discriminato!