Era giusto un anno che lui se n’era andato. Per lei era stato come risvegliarsi in piedi sull’orlo del precipizio. A malincuore scelse il mondo. Persino quella casa che avevano comprato, la mansarda con la vista sul borgo antico, le faceva paura: tutto le sembrava precario e instabile, tutto si rompeva. Dopo la sua morte era come se le cose avessero deciso di smettere di funzionare per protesta.

Finalmente lei si decise ad aprire il suo ultimo regalo: un pacchetto che aveva abbandonato in un cassetto per ripicca, perché lui l’aveva tenuta all’oscuro della malattia. Sperò che ci fosse una spiegazione, magari una lettera, finalmente le sue scuse per averla abbandonata da sola, davanti a una strada interrotta che finiva nella nebbia.
La lettera c’era, scritta a mano in uno di quei fogli a quadretti che lui amava, ma c’era anche una scatoletta di metallo chiusa con delle viti, grande come una saponetta. Sulla parte superiore del piccolo apparecchio c’era un pulsante con due spie, una verde e una rossa. Da un lato spuntavano due cavetti: il primo terminava con un piccolo microfono, l’altro con gli auricolari.

Nella lettera, con la sua scrittura chiara e un po’ infantile, lui aveva scritto poche righe per spiegarne il funzionamento:

Mia cara, questa è la mia ultima invenzione.
L’ho chiamata Stimolatore Mnemonico Ipnoinducente.
Serve a rendere più vividi i ricordi più belli.
Il suo funzionamento è semplicissimo: basta premere il pulsante. La prima volta si accenderà una luce rossa.
Dovrai parlare nel microfono finché non si spegnerà la spia.
Racconterai i tuoi ricordi che vuoi rendere più vividi, descrivendo ogni particolare che ti viene in mente. Non devi preoccuparti dell’esatta successione cronologica: la macchina non funziona in quel modo. Racconta a ruota libera.
Quando si accenderà la luce verde indossa gli auricolari e sentirai una specie di pulsare con un fruscio di sottofondo, vuol dire che la stimolazione delle onde Alpha è iniziata.
Dopo un po’ ti sembrerà di rivivere sin nei minimi dettagli i tuoi ricordi.
Spero che funzioni. Con me ha funzionato.”

“Un’altra delle sue stupide invenzioni, ” pensò lei indispettita; ma il giorno dopo azionò il pulsante e parlò nel microfono. All’inizio erano solo commenti sarcastici, qualche battuta cattiva, molte lamentele e sospiri. Poi i ricordi presero il sopravvento e il suo racconto divenne più dettagliato. Col passare del tempo i suoi discorsi carichi di rimpianto divennero un appuntamento quotidiano.
Smetteva quando udiva la sua voce risuonare solitaria tra le mura del soggiorno. Solo allora si fermava e rimaneva ad ascoltare le rondini tra i tetti mentre fissava ipnotizzata quella luce rossa, sempre accesa e insaziabile.
Lei sentiva che tutto quel raccontare le stava facendo bene: la voragine – quella mancata promessa di vita insieme – era sempre presente, ma sembrava meno profonda, come coperta da una foschia che sale dalla valle nascondendo i campi incolti, i frutteti abbandonati, un fiume in secca e chissà cos’altro.
Un giorno, mentre era a metà di un racconto, la luce rossa si spense e quella verde iniziò a lampeggiare.

Per un lungo istante lei rimase a guardarla senza sapere cosa fare, poi sistemò gli auricolari e chiuse gli occhi in attesa. Le parve di non sentire niente, infine, da una distanza infinita, arrivò un pulsare profondo quasi al di sotto della soglia dell’udibile. Rimase una buona mezzora, fissando il soffitto bianco, senza provare altro che la propria impazienza. Solo un’altra volta si era sentita altrettanto inutile e abbandonata: quella volta in cui lui doveva passare per andare al mare e aveva dovuto aspettarlo per un’ora, vestita come la perfetta villeggiante di una rivista di moda, nel marciapiede sotto casa.

Ricordò perfettamente la borsa che portava, il profumo dell’olio solare, l’ombra del cappello di paglia sugli occhi, ricordò tutto come se, per ingannare l’attesa, le sue retine avessero impressionato quei momenti in una pellicola sensibilissima.

Poi lui arrivò e lei guardò il suo viso. Si soffermò con stupore su ogni particolare: le labbra sottili atteggiate in un mezzo sorriso, il complesso disegno delle rughe intorno agli occhi allegri, lo sguardo da ragazzino condannato dentro il corpo di un cinquantenne ma con la prospettiva di un’ora d’aria.
Ogni dettaglio era perfetto. Allora l’aveva ignorato; non ci aveva fatto caso troppo presa dal suo disappunto, troppo impegnata a essere delusa per soffermarsi sul frammento di presente che stava vivendo. Quando la spia verde si spense, l’illusione di rivivere il passato svanì.
La macchina funzionava, ma era nuovamente affamata delle sue parole.

Eccitata dalla scoperta, lei riprese a raccontare tutto quello che ricordava aspettando con ansia che si accendesse la luce verde. Passarono i giorni, scanditi unicamente dall’alternarsi della luce rossa con quella verde, e poi da vividi ricordi che illuminavano lo scorrere sbiadito della realtà quotidiana.

Infine successe qualcosa che non aveva previsto.
Non seppe mai se fu la macchina o il suo modo di raccontare a scatenare il cambiamento. A un tratto la macchina iniziò a evocare qualcosa che non apparteneva alla sua memoria.
Erano ricordi “nuovi”.

Erano vicende che lei non aveva mai vissuto insieme a lui. Luoghi che non aveva mai visto, persone che non aveva mai incontrato, momenti che non erano mai accaduti.
Lei ne era sicura: non erano mai andati insieme a Trieste e meno che mai su quel tram a cremagliera che porta sopra la città. Eppure, ancora una volta, i dettagli erano perfetti.
Lui era sempre uguale, con una delle sue polo sgargianti. Ecco, forse aveva un po’ meno capelli.

Ripensandoci in quel ricordo c’era di qualcosa di sbagliato: lui sembrava un po’ più vecchio rispetto all’ultima volta che l’aveva visto vivo. Questo fatto le diede da pensare. Alla fine la spiegazione poteva essere una sola: quella macchina…

Quella strabiliante macchina, non solo rendeva più vividi i ricordi, ma ne creava di nuovi. Nuovi attimi mai accaduti che ora lei poteva vivere con la stessa intensità di quelli veri.
Lei all’inizio si spaventò, ma poi decise che forse era quello il vero regalo.
Nuovi ricordi.
Una nuova vita insieme a lui. Così, alla fine, si lasciò andare, sempre più attratta dalla luce verde: il semaforo che lasciava libera la sua mente di partire verso i nuovi ricordi da esplorare.
Per mesi fu la sua seconda vita, il suo rifugio segreto. Il luogo dove riprendersi la vita che le era stata portata via.

Non erano sempre dei bei momenti.
A volte lei lo trovava indisponente per quella sua aria da ragazzino irresponsabile o quando lui si chiudeva a guscio perché aveva qualche nuova improrogabile idea per la testa.
Finché non arrivò il ricordo di una malinconica partenza, un addio un po’ sgarbato, un treno che partiva, lei, sola in una stazione vuota, una lettera dal tono distratto e un po’ colpevole. Riconobbe la sua grafia chiara e un po’ infantile in quelle righe frettolose, dove lui non riusciva a chiedere scusa, dove non offriva giustificazioni, solo irritanti banalità come se non avesse più voglia di riconquistarla.
Lei decise di non raccontare più niente alla macchina e alla fine la luce rossa si spense da sola.

Qualche anno dopo, durante un trasloco – quando un’altra vita era cominciata – lei ritrovò la macchina dei ricordi in un cassetto. Un po’ per gioco, un po’ per nostalgia premette il pulsante, ma la luce rimase spenta.
“Le batterie… sono sicuramente le batterie” pensò, ma lei non sapeva come sostituirle e portò la macchinetta da un tecnico. L’uomo la aprì e trovò subito le pile esaurite, ma mentre la riconsegnava le disse:
«Non capisco a cosa possa servire: è un banalissimo timer al quarzo, come quelli delle cucine, ma con regolazione casuale. Con il pulsante si accende la luce rossa e poi quella luce verde. Niente di più: lo spinotto del microfono e degli auricolari non sono nemmeno collegati…»
Lei da principio provò una profonda rabbia e si sentì derubata di qualcosa. Poi sopraggiunse un ricordo; lui la guardava con l’aria divertita mentre trafficava senza successo con uno dei suoi aggeggi inutilmente complicati. Anche quello era un ricordo nuovo di zecca.

Salvatore Mulliri

Grafico, designer e webmaster di questo sito, il suo riferimento è Karel Thole, leggendario disegnatore delle copertine di Urania. Scrive racconti per giustificare le bizzarre illustrazioni che realizza da sempre.

2 Comments

  1. Molto bello. Delicato e in bilico tra malinconia e speranza.

  2. Bello questo racconto.
    Hai posta. Prova a leggere e fai delle scelte a tua discrezione.

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