
L’ambasciatore della Terra aveva fatto svariati milioni di chilometri per essere presente in quella polverosa e inospitale pianura marziana, ma non sembrava molto felice di essere stato uno dei pochi esseri umani a compiere a quell’impresa.
Guardando la colossale astronave aliena a forma di carciofo, nera e lucida -minacciosa come solo le astronavi nere, colossali e lucide sanno essere – desiderò ardentemente di essere altrove.
Quando dallo spazio profondo era arrivato il messaggio da parte di un consorzio di civiltà galattiche, l’umanità aveva reagito come faceva di solito, ovvero con una globale ed entusiastica manifestazione di panico.
Solo dopo settimane di disordini e scontri qualcuno era riuscito a decifrare il messaggio e i grandi capi si erano decisi a mettere insieme una missione verso il pianeta rosso. Il messaggio non era un ultimatum o una dichiarazione di guerra. Indicava un giorno, un’ora precisa e un luogo.
Un appuntamento sull’altopiano Tharsis di Marte.
Avevano mandato lui, lo scaltro diplomatico con un passato di astronauta perché sembrava il più adatto a rappresentare la pacifica civiltà (assieme a una testata nucleare da 500 megaton che chissà per quale diavoleria aliena era diventata inerte come un pezzo di cemento nel momento in cui l’astronave terrestre era entrata nell’orbita di Marte).
L’ambasciatore era immobile, in attesa.
Tutto il mondo avrebbe visto con una decina di minuti di ritardo la sua espressione di stupefatto timore dipinta sulla faccia.
Aspettava come gli era stato detto di fare davanti alla mastodontica nave aliena sentendosi, nonostante la pesante tuta spaziale, nudo come quella volta che gli avevano rubato il costume durante il party in piscina del suo diploma liceale.
A un tratto, da una fiancata della nave aliena sbucò, o meglio “traspirò” fuori una grande bolla argentea che gli si precipitò incontro. Prima che il diplomatico terrestre potesse accennare a un tentativo di fuga, venne “inglobato” al suo interno.
«Bene, siete stati puntuali,» disse la voce da vecchietto allegro nei suoi auricolari. «La puntualità è segno indiscusso di civiltà. Puoi togliere il casco, rappresentante dell’umanità. Andiamo al dunque. Non abbiamo molto tempo da perdere.»
L’ambasciatore armeggiò maldestramente con l’apertura, ma finalmente si liberò del pesante casco. L’aria era respirabile e profumava vagamente di peperoncini fritti. Una luce si diffuse nell’interno a specchio della sfera.
Una parete si deformò per poi ritirarsi come se fosse liquida, lasciando entrare un’alta figura vestita di nero. Sembrava umanoide, ma con la parte superiore (la testa?) resa indistinta da una nube di simboli luminosi e fluttuanti.
«Ho celato il mio volto con questo maquillage olografico per cortesia nei vostri confronti: eravamo certi che ci avreste trovati ripugnanti. Avreste dovuto fare qualcosa anche voi. Siete davvero brutti da vicino. »
L’alieno fece un gesto ampio ed elegante con un braccio filiforme spuntato dalla veste nera. Agitò le lunghissime dita.
«Lasciamo perdere i convenevoli. Sono qui per conto di un consorzio di civilizzazioni che ha deciso di far partecipare il vostro lurido pianetucolo alle grande Gioia della Rete Galattica.
In realtà all’inizio volevamo cancellarvi dalla faccia del vostro pianeta con un’estinzione controllata. Soprattutto a causa del comportamento irresponsabile nei confronti della vostra ecosfera e dell’incapacità di starvene tranquilli. Vede, dalle nostre parti è più importante la biodiversità della tecnologia.»
«Come? E… estinzione controllata?» balbettò il diplomatico terrestre.
«Come? Assistente 01, come facciamo questa cosa dell’estinzione controllata?»
Un pallino luminoso iniziò a ronzare orbitando intorno alla testa dell’alieno.
«Ecco sì. Un processo nanotecnologico-virale avrebbe modificato i vostri recettori cerebrali, amplificando ogni intensa sensazione piacevole da un fuggevole attimo di godimento fino alla durata di settantadue minuti. Un qualunque pezzo di cioccolato sarebbe diventato come la più potente droga e avrebbe portato a un’istantanea assuefazione. Le nostre subroutine stocastiche indicano un crollo del tessuto sociale entro i primi due mesi dall’inizio del trattamento e un’estinzione del genere umano entro un paio dei vostri anni solari. È la procedura standard, in modo da lasciare il pianeta pulito. E ben concimato.»
«Ma…Ma poi avete cambiato idea?» farfugliò l’ambasciatore.
«Sei in gamba terrestre: subito al punto eh?»
La nube olografica dell’alieno parve agitarsi un attimo come se l’alieno stesse ridendo.
«Abbiamo cambiato idea grazie a questa faccenda del Natale. Ci è piaciuta molto questa vostra buffa tradizione che a una certa data fermate ogni attività e vi sforzate di essere buoni e gentili. Quella storia dei regali poi… Ecco, non c’era niente di simile prima di conoscere voi terrestri. C’era solo lavoro, lavoro, lavoro e poi ancora lavoro. Senza un attimo di pausa.
Ma questa storia del Natale al Consorzio Galattico è piaciuta tanto che s’è diffusa ovunque nella Galassia. Sospetto soprattutto grazie al forte appoggio della potente lobby delle conifere intelligenti di Deneb 6. Non aspettavano altro per andarsene in giro a pavoneggiarsi con tutte quelle palline luminose. E, visto che le regole sono regole, non abbiamo più potuto cancellare la vostra ripugnante civiltà di zozzoni.»
«Quali regole?» domandò in un soffio il povero ambasciatore.
«La regola del Dono. Per entrare a far parte della Rete Galattica ogni civiltà deve portare un Dono condiviso da tutti. La mia razza è entrata a far parte del Consorzio quarantadue secoli fa grazie al Dono del Generatore Ubiquitario Tetradimensionale a Distorsione Sinusoidale che ha permesso di accorciare i viaggi spaziali. Le conifere intelligenti di Deneb grazie alla Matematica delle Matrici Mistiche a Coinvolgimento Empatico. E voi? Voi entrerete a far parte della più alta espressione della consapevolezza galattica grazie al vostro Natale.»
L’ambasciatore terrestre trasse un sospiro di sollievo.
«Le cose sono andate così,» continuò l’alieno. «Certo sarebbe stato più divertente vedervi sulle sfere olografiche contorcervi mugolando di piacere, ma è andata diversamente. Perciò sbrighiamoci con le formalità che ho un altro sistema da visitare. »
«Quale formalità ?» sobbalzò il diplomatico.
«La firma. Mi serve la firma genetica del proprietario del concetto di Natale. Si chiama, dunque… ecco sì… Babbo Natale. Appunto. Qui, su questo documento serve la firma di Babbo Natale,» l’alieno agitò un dodecaedro luminoso pieno di strani simboli.
«Senza questa firma il Consorzio non potrà più utilizzare il Dono del Natale e perciò si dovrebbe ritornare al piano A: l’estinzione della razza umana.»
Il cervello dell’ambasciatore terrestre iniziò a lavorare freneticamente. Alla fine scegliendo accuratamente le parole disse:
«Purtroppo è impossibile far giungere fin qui Babbo Natale. Sa, è vecchio e stanco, non può affrontare viaggi spaziali. Come plenipotenziario terrestre potrei firmare io al suo posto. Lui capirebbe.»
«Mmmmm… No. Non si può. Strano, noi abbiamo informazioni per le quali questo Babbo Natale può circumnavigare il vostro pianeta in una notte e portare regali dappertutto. Quindi pensavamo avesse una certa abilità nel distorcere il tempo e lo spazio. Pensavamo che un viaggio di qualche milione di chilometri fosse una bazzecola per lui. Quindi non può farlo venire qui a firmare ? Mmmm… Devo dirle, che vi trovate in una brutta situazione.»
L’ambasciatore addestrato a pensare in emergenza cercò disperatamente una soluzione; dove poteva trovare qualcosa che assomigliasse a un abito rosso e una barba finta nella minuscola astronave terrestre? Come poteva comunicare col suo equipaggio per organizzare quella pagliacciata senza destare i sospetti dell’inflessibile burocrate alieno?
L’extraterrestre, vagamente spazientito, giocava distrattamente col dodecaedro pieno di simboli luminosi dai quali dipendeva il destino dell’umanità. Ad un certo punto lo fermò a mezz’aria per guardare da vicino.
«Qui però vedo una clausola al contratto che potrebbe aiutarvi. Ecco…»
L’ambasciatore aguzzò gli occhi cercando di capire qualcosa dal bailamme di simboli che ruotavano sulla superficie del dodecaedro.
«E’ proprio così,» annunciò l’alieno soddisfatto.
«C’è un’altra possibilità. Basterebbe anche la firma dell’aiutante di Babbo Natale per rendere valido il contratto.»
«E chi sarebbe?» sospirò l’ambasciatore pensando a un costume verde da elfo.
«Un certo Bambino, Gesù Bambino.»