
– Ciaooo!
– Ciao piccola puzzola.
– Uffa, io non sono una puzzola.
– Dall’odore direi di sì. Vuoi la merenda? Che ne dici di pane e nutella?
– Siiii! Ho fame!
– Come sono i nuovi bambini del vicinato?
– Abbiamo costruito una casa. Grandeeeee.
– Davvero?
– Sì. Davide ha portato il cartone e abbiamo fatto questa casa nel suo giardino. Il suo cane voleva entrare. Ma noi non l’abbiamo voluto perché puzza.
– Quasi quanto te. Mi sa che è ora di cambiare la maglietta…mi passi il barattolo?
Lei era ancora giovane, con il bel volto illuminato dal sole e da un sorriso allegro. Era così aggraziata che sembrava danzare nella piccola cucina. Sul vestito a fiori indossava un grembiule che si allacciava alla vita con dei nastri rossi.
Nastri rossi mossi dal vento. Nastri rossi con la scritta “Remove before Flight”.
Scuoto la testa stordito ricacciando quel ricordo nell’area del mio cervello diventata ormai residenza stabile dei nanotech alieni.
Niente intorno a me è cambiato: il vecchio caccia è armato e rifornito. Come me attende un segnale di “scramble” che non arriva mai.
È
un cobra grigio che si mummifica inutilmente sotto il sole cocente
del
pomeriggio di maggio.
La pista sembra perdersi all’infinito
circondata dal fieno troppo
alto.
Sopra
ogni cosa il frinire dei grilli che
si moltiplicano senza freno
intorno
all’aeroporto. Protetto dall’ombra del velivolo da combattimento,
appeso nel pilone dell’ala destra, il missile anti
satellite
a testata nucleare. È
pronto per fermare qualunque oggetto si
inserisca nell’orbita
terrestre.
Sorrido,
guardando l’ordigno bianco, grosso e inutile.
Uno strumento da
bassa macelleria, tutto sommato.
Loro, gli alieni, sono stati
ben più raffinati. Niente invasioni in grande stile, niente cieli
oscurati da sciami di dischi volanti. Niente colossali robot che
schiacciano i grattacieli. Chi ci ha fatto questo scherzo si è
comportato come il maitre di un ristorante di classe di fronte a una
comitiva di bifolchi maleducati: un dessert e un cortese invito ad
andare via.
Qualcuno li aveva chiamati agenti nano-tecnologici, ma probabilmente esistevano da millenni nel corpo umano, dormienti e inattivi, parassiti tra i tanti che nuotavano nelle nostre vene. Un bel giorno si sono attivati e insediati nel cervello del loro ospite umano.
Si
sono messi subito al lavoro per il quale erano stati progettati: far
ricordare.
Infatti lavorano sui ricordi.
Chissà come
riconoscono l’area del cervello dove conserviamo i nostri ricordi
più preziosi e si stabiliscono laggiù,
Dapprima
le persone colpite hanno la sensazione di rivivere frammenti della
propria vita passata. Poi i frammenti si compongono insieme fino
a
diventare la perfetta ricostruzione del
giorno più
bello della
nostra
vita.
Chi può resistere? In
fondo è il
giorno in cui siamo stati più felici, quello
in
cui ci siamo addormentati soddisfatti, senza
pensieri, senza
fardelli, con il
sorriso tra le labbra.
Per qualcuno era il giorno del matrimonio o il giorno di un riconoscimento importante, per altri quello della nascita di un figlio. Ciascuno ha il proprio giorno perfetto dove rifugiarsi. Il film che si può proiettare all’infinito senza che stanchi.
Troppo tardi ci rendemmo conto del pericolo e la chiamammo Sindrome del Ricordo.
Chi
ne veniva colpito
si estraniava poco a poco dal resto del mondo, intrappolato
nella visione del proprio giorno fatidico, rivissuto continuamente
sin nei minimi particolari. Senza
assistenza si
smetteva di mangiare e bere. Molti
morivano,
ma con un sorriso sereno tra le labbra.
Quello era il dessert
avvelenato che il maitre ci aveva offerto per uscire di scena.
Quando
capimmo che era tutto il pianeta a esserne colpito cercammo di
reagire. Con la forza della disperazione scoprimmo come fermare la
malattia. Una cura momentanea che serve solo a neutralizzare gli
effetti. Sospendendo le dosi quotidiane la Sindrome si ripresenta più
forte di prima.
Ulteriori studi hanno scoperto l’origine
artificiale dell’infezione: la Sindrome del Ricordo fu progettata
in laboratorio milioni di anni fa, da una scienza che non è di
questa Terra.
Grazie a questo brillante contributo esterno,
l’universo umano, lentamente, ma inesorabilmente, è andato
sorridendo a farsi benedire. Le fabbriche sono state chiuse, le città
si sono svuotate, in tutto il mondo milioni (miliardi?) di persone
sono morte quasi senza accorgersene, di colera, difterite e tifo. O
semplicemente di fame e di sete.
L’antidoto neutralizzante è
troppo difficile da fabbricare e l’abbiamo ricevuto in pochi,
praticamente solo noi dell’operazione “Lost Citadel”. Alcuni
si sono chiusi nei loro bunker nelle profondità della terra con
viveri e antidoto per anni, noialtri, l’ultimo baluardo
dell’umanità, rimaniamo in superficie per far vedere che non siamo
d’accordo con questa faccenda dell’estinzione di massa.
Gli americani ci hanno dato persino i missili antisatellite nucleari e si sono offerti di coordinare il contrattacco nel caso qualcuno arrivasse dallo spazio a rivendicare il pianeta.
Così mentre la superficie terrestre diventa un immenso cimitero e la natura si prende la sua rivincita sulla civiltà umana, rimaniamo noi, con i nostri aerei inutili, fermi sulle piste ad aspettare e le scorte di antidoto che si assottigliano. Restiamo solo noi, al nostro posto, in attesa del segnale, quando sarebbe bello lasciarsi andare e perdersi nei ricordi. Ma il segnale non arriva.
Ogni giorno è la stessa cosa. Si controlla il Typhoon, i suoi motori, l’avionica, l’armamento, il missile ASAT e il sistema di puntamento. Si toglie l’aereo dal rifugio corazzato e si aspetta. Ma non succede mai niente: la radio da campo rimane muta.
Ormai sono passati mesi e le scorte di antidoto stanno finendo. La settimana scorsa l’ultimo aviere rimasto mi ha dato la sua scorta e mi ha detto:
– Glielo faccia vedere lei, capitano, a quei bastardi.
Poi se n’è andato via a morire da qualche parte.
Ma anche così le scorte di antidoto non dureranno per molto, anche se ho dimezzato la dose.
Credo che non lancerò mai quel missile. Non ci sarà nessuna invasione.
A volte penso a chi ha fatto lo scherzetto all’umanità. Forse non vuole il nostro pianeta. Magari pensava che stessimo rovinando un mondo bellissimo.
Magari è stato come un vigile che vede dei teppisti calpestare un’aiuola . Magari ha pensato che potevamo diventare anche più pericolosi.
– È ora di mettersi il pigiama. Su dai…non fare i capricci.
– Ma… Va bene mamma.
– Devi dormire. Anche se domani non devi andare a scuola devi riposare.
– Che bello… Sarà una bellissima giornata.
– Si, bambino mio, il primo giorno di vacanza è sempre il più bello. Adesso dormi. Buonanotte
– Buonanotte mamma.