
Base di Guantanamo Bay – Area di Confinamento Speciale
Verbali d’interrogatorio del prigioniero KA-3954 (K). Intervistatore Col. J.W.M. (I)
I – Allora Kamil… hai detto che volevi parlarmi. È sempre il solito motivo? I tuoi compagni ti minacciano perché non preghi con loro?
K- No… e poi non sono i miei compagni non ho più niente in comune con loro… Ho qualcosa che può interessarvi. Riguardo ai fatti di Sayyd… credo sia… importante.
I – Kamil, Kamil, perché non ne hai parlato prima?
K- Quando è successo tutto ho avuto una grande paura Ho cercato di dimenticare, ma tutte le notti sogno quelle mani… la mia vita da allora è distrutta La mia testa è confusa, tutto mi sembra inutile e senza senso.
I – Racconta. Forse posso aiutarti a comprendere.
K – E’ iniziato tutto quando abbiamo preso quei due occidentali sui monti di Kandahar. Dicevano di essere archeologi. Yussuf pensò di aver trovato il modo per fare soldi. Voleva diventare un grande capo, con tanti uomini e tanti Toyota bianchi.
Voleva farsi notare dai finanziatori per comprare nuove armi, Voleva fare qualcosa che attirasse l’attenzione. Perciò catturammo quei due e li tenemmo per qualche giorno nascosti nelle colline. Nessuno denunciò la loro scomparsa. Yussuf cominciò a perdere la pazienza e mi disse che sospettava fossero due spie. Ma a me non sembrava.
Loro dicevano di essere “Norvegesi” e che dovevano studiare le rovine di qualcosa. Gente innocua. Uno era piccolino e giovane, l’altro grosso e più anziano. Entrambi erano sempre gentili e tranquilli, anche quando li incappucciavamo per trasferirli. A dire il vero non c’era tutta questa necessità.
Però a Kabul dicevano che non mancavano europei e così non c’era nessuno a cercarli. Niente elicotteri, niente governativi, niente Nato. Yussuf allora volle riprenderli per vendere la cassetta ai giornalisti, e dimostrare che avevamo in mano due occidentali. Ma la cosa buffa era che quando cercavamo di riprenderli la telecamera si guastava. Cioè, sembrava funzionare, ma la cassetta era vuota. Come inquadravamo qualcos’altro tutto ritornava a posto come se ci fosse uno spirito maligno che si beffava di noi. Yussuf era fuori di sé dalla rabbia.
Dopo il decimo tentativo, gli parve di cogliere un sorriso nel più giovane. Quasi di sfida. A dire la verità a me sembrava la sua solita espressione cortese, ma Yussuf era talmente fuori dai gangheri che afferrò il suo fucile mitragliatore e glielo scaricò addosso.
Eravamo tutti così meravigliati che non ci rendemmo subito conto che il più grosso si era liberato. Lo vedemmo andare verso il corpo del suo amico e prendere il cadavere sanguinante delicatamente in braccio. Come se fosse suo figlio. Infatti dopo un po’ cominciò a cullarlo cantando una nenia strana che non avevo mai sentito. Alla fine lo stese per terra e gli accarezzò il viso. Poi si alzò in piedi e si voltò verso Yussuf.
”Tu non sai quello che hai fatto.” disse in perfetto pashtun. Sino a quel momento eravamo tutti convinti che parlassero solo la loro lingua.
Yussuf voi non l’avete mai conosciuto, ma era uno che non aveva paura di niente. Dicevano che avesse tagliato la testa a un russo grosso il doppio di lui. Il grasso occidentale era nulla per lui. Ma qualcosa nello sguardo dell’altro lo fece indietreggiare, come se avesse dimenticato di essere circondato dai suoi uomini e di avere un AK-47 con la canna ancora fumante in mano. Poi sembrò riprendersi
”Allah-U Akbar!” gridò come se stesse festeggiando una vittoria, e noi meccanicamente gli facemmo eco.
Ancora non riesco a spiegarmi quello che successe negli attimi successivi.
(pausa: l’intervistato beve dell’acqua)
K
– Come abbassammo lo sguardo ci rendemmo conto che l’occidentale
era riuscito ad avvicinarsi a Yussuf e gli aveva preso la testa tra
le mani.
Il fucile di Yusuf era scivolato a terra e ora le sue
mani, che mai l’avrebbero abbandonato, tremavano.
Poi
lo sentimmo gridare dal terrore.
Spero di non sentire mai più
un urlo così perché non era l’urlo di agonia di un ferito:
Yussuf, non era più il veterano dallo sguardo di ghiaccio, ma aveva
cinque anni e urlava nel buio per un incubo di migliaia di zampette
pelose. Era il Yussuf di dieci anni che si rifugiava sotto il camino
durante il terremoto. Era il giovane Yussuf che tornava a casa e
trovava la sua famiglia bruciata dai lanciafiamme russi.
Forse Yussuf che urlava per quello che aveva visto negli occhi dello straniero.
Così
pensammo noi guardando paralizzati la scena. Non pensavamo che presto
sarebbe toccato a noi.
Dopo un attimo Yussuf era a terra con la
bocca aperta. Gli occhi sbarrati sul terrore senza fine che lo aveva
ucciso. Stavo guardando attonito la macchia di orina si allargava
sotto il suo corpo quando tutto fu avvolto da un mulinello di
polvere. Non si vedeva più nulla.
Persino il demonio straniero
era sparito. Poi un altro di noi cominciò a urlare. Su di lui si
intravedeva la grossa sagoma dell’europeo. Nella confusione
qualcuno iniziò a sparare. Ma c’era troppa polvere e non si capiva
più niente. La gente urlava e moriva. Io scappai verso una casa, ma
presto fu il mio turno. Lo capii subito perché una grossa ombra mi
bloccò la strada. Guardai le grandi mani dell’occidentale muoversi
verso la mia testa come in un sogno. Sentii qualcosa di caldo
toccarmi le tempie. Udii una voce, come la voce di Dio… risuonarmi
direttamente nella testa:
“Rinuncia… Rinuncia ad un mondo di futili illusioni… Correggi l’errore che ti domina. Comprendi il Nulla.”
In quell’istante qualcosa accadde dentro la mia testa. Fu come se un pezzo smarrito di un rompicapo tornasse al suo posto. Una strana sensazione. Era come se capissi ogni cosa del mondo. Vedevo tutto: lo scorpione sotto la pietra accanto a me, il bambino terrorizzato dagli spari nel casolare lontano e il pilota dell’aereo nel cielo. Il mio pensiero si espandeva in ogni direzione incontrando ovunque manifestazioni di vita.
Superò il sole e le stelle, viaggiò per vastità sconfinate e finalmente raggiunse il nulla. Vagò in luoghi dove tempo e spazio sono parole sono senza senso. Brancolò dove la luce è un ricordo cancellato da eoni. In quel deserto l’unica certezza è che il Nulla avrebbe finito per sopraffare il prezioso bagliore della vita. Niente di vivo può sopportare quel genere di vuoto. Perciò anch’io iniziai ad urlare.
Dopo quelli che sembrarono milioni di anni qualcosa interruppe si fece strada nel niente che mi circondava. Mi ritrovai in ginocchio sulla sabbia, circondato dalla polvere, davanti alle rovine della casa in fiamme e un soldato Nato che mi puntava il fucile in faccia. Piansi di gioia vedendolo.
I – Quando i nostri sono atterrati, solo tu e due cani eravate ancora vivi nell’accampamento di Yussuf. La tua cartella clinica dice che sei rimasto in uno stato catatonico per mesi prima di essere portato in questa base. I medici che ti hanno visitato dicono che da quell’esperienza ti sono rimaste alcune fobie, come quella per la violenza e per le armi da fuoco. I nostri psicologi dicono che sono generate da un potente stato post ipnotico.
K -Non è ipnosi. Io sono pakistano e sono istruito: so cos’è l’ipnosi. Quando ho sentito le mani di quella creatura su di me, ho sentito le sue intenzioni. Sapeva che mi avrebbe ucciso. La mente umana non è adatta a quel trattamento che per loro è innocuo. Quella creatura la considerava una procedura standard. Per educare i piccoli della sua specie.