L’oscurità scivolava per le strade della città, aggrappandosi alle pareti sudicie dei vicoli come un’edera velenosa. Il Canale non era famoso per la sicurezza, ma era un luogo discreto, dove le persone tenevano gli occhi (o gli impianti ottici) fissi a terra. Soprattutto quando incrociavano uno dei Grandi Draghi delle Zaibatsu. Non era una vista comune nel Canale, ma capitava.
Di quando in quando i corporativi percorrevano i vicoli a caccia di emozioni e divertimenti non convenzionali. Spesso se ne andavano con le tasche vuote, quando ci riuscivano.
I lineamenti affilati e i baffi sottili del corpocratico erano atteggiati a un misto di scherno e disgusto, visibili anche attraverso il fazzoletto che portava sul naso. I più audaci tra gli appestati ammucchiati ai lati delle strade ghignavano: un banale fazzoletto non bastava a proteggere i polmoni dall’aria tossica dei bassifondi. Solo qualcuno di loro sapeva che i polmoni di un corpocratico potevano filtrare senza rischi qualsiasi tossina. Quel fazzoletto era solo imbevuto nell’acqua di rose per evitare che i recettori olfattivi fossero sovraccaricati dagli effluvi pestilenziali del Canale.
L’uomo camminava svelto, con passo sicuro, come se bastasse il suo status a proteggerlo da qualsiasi aggressione. La verità era che tutto il suo corpo era protetto da tegumento al grafene, come tutti i suoi pari facevano di quei tempi. Qualche sguardo incerto lo seguì per valutare i rischi di un assalto, ma nessuno ne ebbe il coraggio. Per loro fortuna.
Il corpocratico superò numerosi accattoni, bancarelle, rifugi di fortuna e cumuli di immondizia e si fermò di fronte a un locale. Era uno dei pochi dove i senzatetto si accalcavano davanti alla porta d’ingresso, quasi fossero falene in cerca di luce. Forse il proprietario gettava in strada gli avanzi o svuotava gli evaporatori di link a fine giornata. Qualunque fosse la motivazione, non era rilevante, non per il Drago che non degnò di uno sguardo i rottami umani mentre raggiungeva l’ingresso. Il locale era vuoto, né un avventore, né un barista, né i soliti sbronzi accasciati sui tavoli. Il corpocratico lanciò una rapida occhiata poi abbassò il fazzoletto sotto al naso.
«Non ve lo consiglio» esplose una voce cavernosa dall’ombra. «La puzza è peggio che in strada. Meno piscio, ma più vomito, e non è un miglioramento.»
Dalla porta dietro il bancone comparve un uomo di colore, alto e robusto, il cui aspetto si adattava perfettamente alla voce profonda.
«Sei tu…» il corpocratico fece una pausa per consultare la banca dati nella sua visione aumentata. «Wilson?»
«In carne e chrome.»
Il gigante allargò le braccia in un gesto di benvenuto. «Immagino di avere di fronte Akinori Igarashi.»
«Non ha importanza il mio nome», rispose seccamente il Drago, irritato.
L’uomo allargò di nuovo le braccia: «Finché vengo pagato, posso lavorare persino per un uomo senza nome.»
«È tutto pronto?» chiese Akinori con tono arrogante come per prendere distanza da quella confidenza a cui non era abituato.
«Quasi tutto.»
L’uomo gigantesco aveva il potere di irritarlo e sembrava godere della sua irritazione. Questo creava un circolo vizioso di collera a cui Akinori si costrinse a mettere fine con l’aiuto di soppressori dell’umore. Non avrebbe ceduto alle provocazioni di qualcuno che avrebbe smesso di respirare entro quarantotto ore.
«Cosa significa “quasi”?» la voce del corpocratico risultò rilassata: la quintessenza della calma.
«Il carico è pronto al 96%. Abbiamo avuto un problema con uno dei soggetti. Non si sveglia.»
Questo riaccese l’interesse di Akinori: «Cosa significa?»
«Esattamente quello che ho detto. Non si sveglia.»
Poteva essere un problema e non di poco conto. In nove casi su dieci si trattava di un malfunzionamento dell’impianto di ibernazione, ma se non fosse stato così la procedura automatica non avrebbe funzionato e avrebbero avuto bisogno dell’intervento dei worm, i suoi tecnici per l’inizializzazione del wetware. Akinori poteva contare sui migliori in circolazione, ma solo nei quartieri alti. Doveva andarsene alla svelta e risolvere la situazione altrove.
«Non ha importanza» decretò dopo un lungo silenzio, «l’importante è che il carico sia al completo, quello che non si sveglia mandalo su con tutto l’impianto di ibernazione.»
«Ehi… yo… yo! Andiamoci piano, quegli impianti mi sono costati un occhio, non posso permettermi di regalarli così.»
Akinori avrebbe voluto ucciderlo lì, sul momento. Così però avrebbe perso tutto visto che non sapeva dove si trovava il carico fisicamente. Uno nuovo avrebbe richiesto anche un mese e lui non aveva tempo.
«Farò in modo che ti venga restituito l’impianto dopo l’estrazione, nel frattempo ti lascio diecimila bonus come cauzione.»
E che cauzione! Probabilmente era il doppio del valore dell’impianto al completo.
Non aveva importanza: avrebbe pensato a far ripulire l’accredito dopo essersi sbarazzato di Wilson. Scansionò il codice holo che l’energumeno aveva sul polso e fece trasferire il pagamento già pattuito con l’aggiunta della generosa cauzione. Come prova della sua buona fede atteggiò la bocca ad un rapido sorriso che però nascose subito sotto il fazzoletto.
Più tardi, mentre passeggiava nervosamente avanti e indietro per il vault, Akinori osservò i suoi worm – poco più che ragazzi – riprendere coscienza. Erano stati in immersione per quasi tre ore per stabilire le connessioni con i nuovi soggetti. La partita appena acquistata era in condizioni perfette, come tutte le precedenti. Se non fosse stato per quell’unico elemento che stava dando ancora problemi.
I suoi tecnici parevano confusi e leggermente storditi. Capitava dopo le immersioni lunghe, soprattutto se venivano eseguite con strumenti non esattamente legali. Nessuno dei tecnici si era aspettato un incarico così lungo. Ma il loro aspetto spossato non era sufficiente a muovere il Grande Drago Akinori Igarashi a compassione. Li interrogò brutalmente per capire quale fosse la causa del mancato risveglio del terzo soggetto.
Il più giovane dei due, un ragazzetto dalla pelle bruna e i capelli acconciati in dead ossigenati, fu il primo a fornire una risposta intelligibile.
«ICE… quattro… ridondanti… dal… era velocissimo… forse un altro… non lo so.»
Quelle parole sconclusionate parevano disegnare uno schema. La mente di quell’uomo in sospensione era protetta come minimo da un ICE di livello militare, con quattro livelli di protezione, un livello di sicurezza insolito per uno sventurato strumento dei crypto-trafficanti.
Akinori era stato uno dei primi a emergere dalla crisi dei semiconduttori e i suoi tecnici erano stati tra i primi a sviluppare un sistema di mining basato sui wetware, sistemi di calcolo basati sulla corteccia neurale umana. La seccatura era la rapida degenerazione dei soggetti. Per fortuna in un mondo sovraffollato non mancavano di certo i rifiuti umani da convertire in wet-CPU.
Bastava fare un bel tabula rasa sinaptico e sfruttare la plasticità indotta da iso-BDNF.
Eppure, questo tizio senza nome, immobile nel suo guscio di sospensione, in qualche modo riusciva a sfuggire al processo del tabula rasa sinaptico.
Il sistema non riusciva a completare l’ultimo passaggio di riscrittura allo zero. Ogni volta che si trovava a un passo dal concludere la procedura il sistema crashava e ripristinava un backup che nessuno riusciva a localizzare. A prima vista sembrava un lavoro facile, sarebbe bastato eliminare il nodulo di backup, ma i tecnici di Akinori non erano riusciti a localizzarlo.
Qualcuno di loro iniziò a ventilare l’ipotesi che qualcuno dall’esterno stesse manomettendo la procedura. Ma era impossibile: la rete di Akinori era una intranet assolutamente sicura. Per penetrare la maglia di sicurezza qualcuno avrebbe dovuto fisicamente perforare mezzo metro di cemento ceramico di durezza adamantina solo per connettersi alla sua fibra. No, non era qualcosa di fattibile, non in modo discreto, non senza un paio di rumorose cariche al plasma.
Chiunque stesse facendo quel lavoro era all’interno. E doveva essere entrato grazie all’uomo nell’impianto di ibernazione, visto che aveva iniziato a succedere quando il corpo era in mano di… Wilson. In ogni caso
Akinori non aveva molto tempo a disposizione.
I suoi wet-CPU erano al limite e doveva cambiare un intero comparto. Gli servivano tutte quelle venticinque menti vuote per sostituire il rack che stava per bruciare.
Vista la velocità con cui lavoravano le IA, rimanere senza i miner di crypto gli sarebbe costato miliardi di crediti al giorno.
Prese il ragazzino per i capelli e lo strattonò violentemente.
«Dovete rientrare e completare l’inizializzazione. Altrimenti metto uno di voi due al suo posto!» Quello sembrava pronto a mettersi a piangere, ma sapeva che la minaccia non era reale. L’inizializzazione di una wet-CPU richiedeva giorni e Akinori non aveva così tanto tempo. Dodici ore era il limite massimo entro cui era consigliabile sostituire il rack. Un minuto in più e avrebbe rischiato di restare tagliato fuori.
Il worm più anziano, intanto, si era ripreso quanto bastava per parlare:
«È inutile che te la prendi con noi con noi Iga-sama. È una faccenda fuori di testa. C’è qualcuno o qualcosa che fa crashare l’inizializzazione. Non sappiamo come, ma in ogni caso è più veloce di noi. Abbiamo provato a riavviare il processo almeno dieci volte, ma qualcosa – ICE o humhack- ci taglia fuori prima che riusciamo anche solo a renderci conto che qualcosa ha fatto breccia. Sembra… un fantasma. Credo che neanche le IA di Kellin siano così sfacciatamente rapide.»
«Chi è Kellin?» Akinori trattenne a stento la rabbia: non poteva maltrattare il suo miglior worm, forse il migliore al mondo. Se lui diceva che qualcosa non era fattibile, con tutta probabilità era vero. Ma questo non risolveva il problema.
Il worm si accese una sigaretta con mani tremanti. «Sei proprio fuori dalla cultura pop, eh Iga-sama? Kellin è l’hacker più pericoloso a ovest della Cortina di ghiaccio. Quindi possiamo pure dire che è il più pericoloso del sistema solare. È stato quello che ha tenuto in ostaggio la ex NATO due anni fa, prendendo il controllo degli armamenti di ottanta nazioni ottenendo così la firma del trattato di emancipazione lunare.»
«E cosa c’entra con noi?»
«Era solo un esempio. Chiunque ci stia mettendo i bastoni tra le ruote è uno di quel livello. Vuoi sapere come la penso? Dovresti lasciare perdere il tizio nel ghiaccio. Prendi il soggetto meno usurato del vecchio rack e lo colleghi al nuovo. Se ci dice bene può reggere per un paio di settimane. O per qualche giorno, il tempo di trovare un sostituto. Mettere offline il rack per un paio di ore non dovrebbe costarti più qualche centone, un milione al massimo. Puoi sostenere una perdita di questo tipo a occhi chiusi.»
«Sei fortunato che non posso sostituirti facilmente, altrimenti ti avrei già ammazzato sul posto.»
«Puoi sempre cercare sul mercato nero un sostituto rapido. Costerà un po’, ma forse con duecento te la puoi cavare.»
Ad Akinori schizzarono gli occhi fuori dalle orbite. «Ti rendi conto di quello che hai appena detto?! Comprare wet-CPU sul mercato nero equivarrebbe a disegnarmi un bersaglio sulla fronte. Se lo facessi tutti i cacciatori di teste delle Zaibatsu sarebbero qui entro un’ora. Adesso te lo spiego io cosa faremo. Tu raccoglierai tutti i nostri worm e li farai entrare per bucare il firewall o qualsiasi cosa sia che impedisce di inizializzare il cervello di quel cadavere!»
«Non possiamo organizzare un attacco così massiccio senza ridurre le attività del nostro ICE. rischiamo di essere sopraffatti dalle IA o da un massiccio attacco 3dDOS dall’esterno.»
Akinori soffiò come un toro. Se fosse stato fisicamente possibile trasformare la sua rabbia in un getto incandescente lui l’avrebbe fatto incenerendo chiunque gli stava di fronte. Un rapido spasmo gli fece contrarre la palpebra dell’occhio sinistro mentre ringhiò l’ordine: «Fatelo. E. Basta.»
Da quel momento in poi tutto andò male. Contemporaneamente.
I sette worm iniziarono a contorcersi nelle loro vasche di raffreddamento. Gli impianti interni della casa vennero messi offline. I dati protetti nel FileVault vennero leakati online. I conti vennero svuotati. Le rubriche segrete vennero pubblicate. L’impianto di sicurezza saltò. Un piccolo commando di soldati potenziati fece irruzione nel livello esterno della proprietà.
In tutto questo caos di allarmi, luci d’emergenza, schermi lampeggianti e soffocate esplosioni, l’uomo al centro della stanza vide bene di resuscitare dal suo stato di ibernazione davanti all’attonito Akinori, che lo guardò come paralizzato accasciato su una squallida sedia di poliresina.
Era andato tutto in fumo. Tutto quanto. Anni di guadagni costruiti su un capitale messo insieme da intere generazioni. Il suo ecosistema di guadagno basato sui servizi delle wet-CPU e blockchain era saltato. Il mercato nero era stato esposto al di là di qualsiasi copertura.
In una sessione virtuale istantanea del tribunale internazionale era già stato incriminato e condannato per crimini contro l’umanità. La falla era troppo grande e il Titanic era affondato. In due minuti.
Akinori si abbandonò sulla poltrona. Incapace di un pensiero razionale si limitò a prendere in mano il bicchiere di whisky che aveva ignorato nell’ultima ora. Lo portò alle labbra e sorseggiò.
L’uomo risorto dall’impianto di ibernazione gli si parò davanti mentre finiva di strappare gli ultimi cavi dal corpo. Era completamente nudo, eppure questo sembrava renderlo persino più pericoloso, come un predatore primordiale che flette i muscoli prima di avventarsi sulla vittima.
Parlò con una voce gentile e musicale:
«Akinori Igarashi, sapevi che era solo questione di tempo.»
«No, non lo sapevo», rispose lui. Bevve un altro sorso di whisky.
L’uomo nudo prese a sua volta una sedia di plastica e si sedette di fronte a lui.
Con un gesto automatico il corpocrate versò un secondo bicchiere di whisky. L’altro lo prese e ne bevve una lunga sorsata.
«… perché?» riuscì a chiedere Akinori alla fine.
L’altro alzò un sopracciglio. «Sei stupito? Sai Iga-sama, costringere gli esseri umani alla schiavitù wetware è immorale. Prima o poi dovevi trovare un’opposizione»
«Opposizione…» Akinori sbuffò. «I governi mi hanno appena condannato perché non possono confessare all’opinione pubblica che erano miei complici. Dal primo all’ultimo. Chi si può opporre all’intero mondo? Un povero sfigato qualunque?»
«A quanto pare, sì.»
Akinori sollevò il bicchiere come se accettasse davvero la sconfitta. Subito dopo il commando sfondò la porta e irruppe nella stanza. In prima fila c’era Wilson che sembrava ancora più grosso nella divisa tattica potenziata. Era lui l’ideatore del piano, dunque.
Ma Akinori sapeva che, in fondo, la colpa era stata sua, quando aveva obbligato i worm ad abbassare le difese per tentare di completare l’inizializzazione del riottoso aspirante a nodo wetware.
Wilson si fece avanti e l’uomo nudo lo salutò con un cenno del capo.
«Mi sembri meravigliato Akinori, ti serve qualche chiarimento?» chiese allegramente Wilson.
«Sì. Vorrei capire chi siete.»
«Lui l’aveva intuito.» L’uomo nudo indicò il capo dei suoi worm che si abbrancava stordito al bordo della vasca di collegamento fuori uso. «Non ci ha riconosciuto perché non si era mai confrontato con Kellin.»
«Quindi sei tu Kellin? Come hai fatto? Dov’era il nodulo di backup che impediva l’inizializzazione?»
L’uomo nudo scoppiò in una fragorosa risata. «Oh, amico, non ci sei neanche vicino. Non è mai esistito il nodulo di backup. Non ci arrivi? Nessuno di noi è singolarmente Kellin. Esattamente come non lo è Wilson. Tutti insieme siamo Kellin. Siamo stati sempre connessi anche durante l’ibernazione.»
«Oh… capisco. Un collettivo…»
Wilson si mise a ridere a sua volta. «Sai qual è il modo migliore di battere in velocità una IA?
Usare una IA ospitata in una rete wetware. Una sola mente non reggerebbe il carico ma tante menti insieme…»
La comprensione si fece strada nella mente di Akinori: nessun collettivo di esseri umani, nessun processore allo stato solido avrebbe avuto tanta velocità di calcolo. Eppure, lui avrebbe dovuto saperlo, la tecnologia l’aveva praticamente inventata lui, ma senza capirne la reale potenzialità. Kellin non era un collettivo di hacker, ma un’unica grande IA collettiva insediata nella loro rete neurale. Ognuno di loro era una parte di Kellin. Presto sarebbero stati tutti Kellin.
«Vedo che ci sei arrivato,» si complimentò Wilson puntandogli un taser.
«È ora di dire buonanotte ai tuoi neuroni solitari.»
Finalmente un cyberpunk che sa di qualcosa, e non è semplicemente un’accozzaglia di termini pseudofantascientifici!
(suggerimento per l’eccellenza: il finale pare un po’ posticcio. Io mi sarei dilungato un po’ di più sull’AI all’interno del wetware: così pare un deus ex machina)
Bello e spaventoso, un po’ Neuromante un po’ Matrix,
Non male, il racconto scorre e funziona. L’idea finale non è una così gran sorpresa, ma per un racconto breve non stona.
Se fossi pignolo potrei fare un paio di appunti superficiali, ma mi piace abbastanza.